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Intervista a Stefano Cortese

Ciao Stefano, inizia subito parlandoci di te. Chi sei e cosa fai?

Sono nato a Napoli nel 1990. Mi sono laureato in Lettere Moderne e poi specializzato in Filologia Moderna all'Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Ho intrapreso quella che spero possa diventare la carriera dello scrittore quando avevo diciassette anni, pubblicando a mie spese una breve raccolta di novelle intitolata C'era una volta in Italia.

Non ho mai pensato alla scrittura come a una passione: è il mio mestiere, un mestiere che amo fare, ma che richiede grande dedizione, professionalità, sacrificio e, soprattutto, coscienza. Scrivo essenzialmente per arrivare a delucidare e ridurre un lunga e confusa teoria di intuizioni che, spero, potranno un giorno fornirmi una visione più lungimirante e veritiera della realtà in cui mi trovo a vivere. La mia vera passione sono, invece, gli autografi. Colleziono, infatti, manoscritti di autori letterari più o meno noti, soprattutto italiani, e questa pratica mi aiuta molto nel mio mestiere: riuscendo a toccare con mano ciò che è stato vergato da coloro che considero i miei auctores, ho un acceso privilegiato al senso del mio lavoro che per me è, essenzialmente, consapevolezza del Vero e dei modi di ricercarlo.

Il basilisco o della speranza, perché questo titolo? Di cosa si tratta?

"Il basilisco o della speranza" è una raccolta che congloba cinque racconti diversi, tutti d'argomento storico. La novella che dà titolo alla silloge è uno dei miei lavori più antichi. Si tratta di una vicenda che concepii e scrissi nel 2008 e che ha subito numerose revisioni prima di raggiungere la forma odierna. È un racconto di espiazione, confronto, dannazione e coscienza: il titolo allude a una frase pronunciata dal protagonista, Carlo Gesualdo da Venosa (1560 – 1613), insigne musicista e presunto assassino della propria consorte, Maria d'Avalos, e del suo amante, Fabrizio Carafa: “La speranza è un basilisco”. La pena più grave a cui un reo d'omicidio possa essere condannato non sono la morte o le sofferenze dell'Inferno, ma continuare a sperare in eterno che il dolore dell'espiazione cessi sapendo bene, tuttavia, che ciò non accadrà mai. Dunque, come il basilisco, animale mitico e letale, con il suo fiato tramortisce e uccide le proprie vittime, così la speranza irretisce l'uomo e lo allontana dalla verità, fruibile soltanto attraverso una ricerca consapevole e spesso ardua.

Il tuo libro è legato a un'associazione importante, la AISLA, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, vuoi parlarci di questo?

L'AISLA è un associazione che sin dal 1983 si occupa dei bisogni medici e sociali dei malati di SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica). La SLA è una malattia neurodegenerativa, che comporta la progressiva perdita delle capacità di movimento, della deglutizione, della parola e della respirazione. Ho assistito personalmente agli effetti di questa malattia: zia Anna, sorella di mio padre, a cui il libro è dedicato, ne è stata affetta. La SLA trasforma le persone, e non solo fisicamente, ma anche, e soprattutto, moralmente. Zia Anna era una persona energica, volitiva, una vera combattente. La SLA l'ha depauperata di tutto questo, e non solo minandola nel fisico, ma sconvolgendo i rapporti che lei aveva con le persone che amava. All'improvviso, zia Anna ebbe solo amici attorno, amici che volevano occuparsi di lei: non c'era più alcuna possibilità di confronto, di dialogo, e perché no, di scontro. La vita, in fondo, è fatta di divergenze che vanno appianate. Per una persona estrosa come lei, perdere tutto questo credo sia stata una grande condanna. Ho deciso di donare il mio libro all'AISLA perché essa si batte contro questa malattia ben consapevole della sua gravità: l'unico modo per sconfiggere un male è sostenerne la ricerca delle cause e la cura degli effetti.

Qual è il messaggio di questo libro?

Rinunciare alla speranza. Potrà sembrare una contraddizione, ma in realtà è ciò che l'AISLA fa ogni giorno: essa si affida alla consapevolezza di una dato drammatico e lotta e si batte al fine di carpirne il senso riposto, la verità di fondo. Don Carlo Gesualdo arriva a comprendere, dopo un difficile confronto con i propri fantasmi, che la coscienza è il vero scopo della vita dell'uomo: coscienza della realtà, delle leggi naturali e divine, della propria condizione. Solo l'assoluta, cruda lungimiranza di un fatto potrà darci adito di cambiarlo. Sperare che esso cambi da solo è un'inanità.

Perché leggere Il basilisco o della speranza?

L'unica cosa che spero di fornire al lettore sono delle intuizioni. Ho imparato dai miei studi e dai “miei” autori che la vera letteratura non insegna nulla, la vera letteratura è quella che dà forma nell'essere umano agli strumenti che gli consentiranno di effettuare le scelte migliori. Non ho scritto viaggi in un mondo remoto, fascinazioni nostalgiche del passato, bozzetti coloriti di un tempo ormai defunto. Ho scritto storie di uomini che si interrogano sulla sostanza della propria realtà e si battono per averne completa cognizione. Forse, il lettore di questo libro, grazie alle mie storie, potrò avere il piacere di porsi qualche domanda. In fondo, la letteratura fa anche questo: fomenta il dubbio lì dove c'è il rischio della certezza.

Grazie Stefano per aver scelto La strada per Babilonia per la pubblicazione del tuo libro.

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